venerdì 19 gennaio 2018

Volevo fare il programmatore di Biblos?

So per certo che quando programmavo mi divertivo talmente tanto che tutto il resto del mondo spariva. La programmazione per me era un grande infinito luna park costruito da me. Col senno di poi, avrei fatto davvero il programmatore di Biblos?

In verità volevo programmare videogiochi, perché sono giusto cresciuto quando era veramente fantastico programmarli. Negli anni ottanta, quando essere pionieri in elettronica era troppo tardi e avere la grande rete era ancora troppo presto, quando programmare significava stare a contatto con l'hardware, perché più in basso di quello c'era solo l'elettronica, e dovevi trovare tecniche e strategie per sfruttarlo all'osso. Negli anni ottanta, quando i computer erano considerati giocattoli per bambini irrequieti, quando programmavi in linguaggio macchina e non se ne accorgeva nessuno, perché nessuno capiva cosa stessi facendo e scrivendo. Quel linguaggio macchina, fatto di numeri e codici, oppure in assembly, un modo come un altro per rendere letterali quei numeri che ormai conoscevo a memoria.

Quale significato nascondono le parolone che ho utilizzato? Parole che magari sono miti per alcuni, che danno loro un significato non ben definito, proprio perché non le hanno vissute, non le hanno metabolizzate, non sono stati plasmati da esse. Insomma dei falsi ricordi, perché sono solo dei fuochi di paglia, gusci vuoti senza sostanza, miti che si ammira solo perché non si conosce a cosa si doveva inconsapevolmente rinunciare per crescerci insieme. Queste parole indicano solo il fatto che ero letteralmente innamorato del mio computer, in particolar modo il Commodore 64 e l'Amiga, e intendo proprio l'anima elettronica che vive dentro ai circuiti, macchine amate da bambini sprovveduti che con loro hanno condiviso tutto, per sempre.

Ci vedevo, perché da cieco non avrei potuto fare grafica per i videogiochi che inventavo. La programmazione mi ha insegnato a pensare, ha proprio plasmato la mia mente. Programmando ho imparato a risolvere i problemi che man mano mi si presentavano, capacità che oggi noto quando qualcuno mi mette di fronte a un problema da risolvere. Programmando ho imparato a controllare una macchina. Se scrivo un determinato codice, so che quel codice funzionerà sempre allo stesso modo. Se scrivo del codice so che potrebbero esserci dei bachi, pertanto devo avere la capacità di prevedere gli eventuali errori o intervenire a posteriori per risolverli. La programmazione è stata per me una sfida tra me e il mio computer. La tastiera era un invito a "giocare", a immergermi nel divertimento di una competizione tra me e me, che, ne ero sicuro, prima o poi avrei vinto. La programmazione per me è stata puro amore, e per questo il codice che scrivevo era come se fosse il mio più severo insegnante, mio fratello, mio genitore, mio figlio, mio amico. Ne conoscevo ogni riga, ogni routine, ogni valore.

Sono consapevole che non è uno dei soliti articoli del blog. Questo è solo un tentativo di lasciare un tassello alla rete, sperando che prima o poi qui arrivi uno dei tanti sconosciuti fratelli nerd sparsi per il pianeta. Qualcuno che si riconosca in quello che scrivo, nelle esperienze che ho vissuto, nelle sensazioni che ho provato, nella difficoltà di socialità che oggi ci contraddistingue e che cerchiamo malamente di nascondere sotto una superficie biologica, dentro cui batte un'anima elettronica, che guarda con sgomento ai comportamenti illogici che si vivono all'esterno.

In sostanza cos'è Biblos? Biblos è innanzitutto una parte della mia conoscenza. Lo ammetto: se avessi continuato a vedere a Biblos non ci sarei mai approdato. Sarei rimasto insieme a codice ben più complesso, più eccitante, più stimolante. Biblos è una sorta di ripiego, per quanto bello oggi possa essere. La nostalgia che mi pervade è solo per l'hardware e per il codice di qualche decennio fa, per quella esibizione di forza che spremeva fino in fondo ogni bit di un computer. Per quegli anni ottanta, in cui essere maggiorenni era già troppo tardi e essere neonati era ancora troppo presto. Anni in cui era davvero eccitante arrivare a far compiere a un computer quasi l'impossibile, e non avere nessuno a cui far vedere quella maestria, perché nessuno capiva cosa stesse succedendo sullo schermo, perché nessuno conosceva l'hardware con cui stavi dialogando.

Cosa dovrei rispondere quando qualcuno, ora per fortuna meno del passato, mi chiede: come hai iniziato a programmare? Che gli devo dire? Se gli dicessi che ho iniziato evitando di fare domande al prossimo, anche perché non avevo nessuno vicino, ma prendendo il primo manuale a caso e iniziando a leggere, anche se era difficile da capire, cosa mi risponderebbe? Cosa potrebbe rispondere una persona tra tante che non capisce cos'è davvero la programmazione per chi la ama? Cosa mi risponderebbe un trent'enne quando gli confesserei che è tardi per iniziare a programmare? capirebbe che programmare per me ha un significato ben più profondo e diverso da quello che possa avere per lui? capirebbe che la programmazione per lui è un mito e per me è vita? chi a trent'anni è disposto a rinunciare alla propria vita, quando ne ha vissuto già un terzo ignaro di cosa significhi programmare?

Oggi di cosiddetti programmatori la scena informatica mondiale ne sforna una quantità esorbitante. Tutti in fila come soldatini, seduti ai banchi di scuola per imparare a programmare, perché oggi il mercato è in cerca di programmatori. Non hanno capito niente. Se sapessero che la programmazione è amore, se sapessero che è arte, se sapessero che la programmazione innanzitutto è divertimento, è un gioco, è un continuo e perpetuo mettersi alla prova. Se solo sapessero che la programmazione ce l'ho nel sangue, nel DNA, come un gene infiltrato che ora vive con me, da decenni, da sempre, gelosa di qualsiasi altra variabile esterna che possa distogliere la mia attenzione da lei, l'unica e la sola amante che possa avere.

Oggi tutti sono in cerca di miti e di semplicità. Vogliono raggiungere con poco sforzo un obiettivo. Non sanno che, quantunque sembri semplice, un'opera d'arte racchiude una complessità comprensibile solo a chi in quella complessità prima è morto e poi è rinato. Tutti sono in cerca di soldi facili, senza sapere che non esiste niente di facile, soprattutto in un mondo fatto di individui che millantano competenze per cui non hanno speso un centesimo della loro anima. Se sapessero che per un vero programmatore i soldi sono l'ultima cosa che esiste al mondo, perché l'unica cosa che importa è il divertimento, la sfida con se stessi, la capacità di creare bellezza, anche sotto forma di numeri.

Ti starai chiedendo cosa c'entri Biblos con tutto questo discorso. Se non capisci che oggi ne ho scritto più di quanto ne abbia scritto in passato è colpa mia? Questa è solo una lettera d'amore al mio più grande amico: il computer.

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